E MIEI PERSONALI SPUNTI INTERPRETATIVI.

Prima Parte.

Heidegger inizia con lo spiegare il perché intende iniziare con una domanda, scrivendo che è proprio al partire da questa domanda che meglio si può entrare nell’argomento della metafisica. Inizia pure con una citazione di Hegel: “La filosofia è il mondo al contrario”. Non è a caso questa citazione, infatti, asserisce che ogni domanda metafisica abbraccia la totalità del problema della metafisica, anzi è la totalità stessa.

Quindi il domandare metafisico coinvolge la persona stessa che la fa come parte di questa totalità, il suo esserci, la sua situazione essenziale. Una domanda per noi che la facciamo, questo esserci nell’ambito della comunità di ricercatori è determinato dalla scienza.

Per Heidegger le scienze sono separate tra loro, non vi è più un denominatore comune identificabile in un’essenza o fondamento. Comunque tutte fanno riferimento all’ente. Vi è sempre da parte loro un riferimento al mondo e all’ente stesso, un approssimarsi a ciò che vi è di essenziale. Esse hanno un’oggettività nel domandare col determinare e fondare si sottomettono all’ente stesso, assumendo così un ruolo guida, per l’insegnamento.

L’uomo che fa scienza, è un ente che fa irruzione tra gli altri enti, dischiudendone, l’ente così si scopre per quello che è.

Ciò a cui fa riferimento al mondo, la scienza, nel suo esserci è l’ente stesso e nient’altro. Ossia al di là dell’ente, niente.

Ma allora si domanda Heidegger cosa sia questo Niente, la scienza rifiuta il Niente, il niente è una nullità non interessa, però affermandolo pur abbandonandolo lo ammettono. Paradossalmente del niente, la scienza non vuol saperne niente.

– Quindi vediamo come le scienze si riferiscono esclusivamente e oggettivamente all’ente, mai ad una sua essenza più profonda come denominatore comune tra le scienze che al contrario, afferma il filosofo, restano separate tra loro e questo notiamo che è diametralmente opposto alla domanda metafisica che si pone Heidegger che invece parte al contrario dalla totalità per arrivare all’ente, un capovolgimento, ricordiamoci delle parole citate dall’autore di Hegel. Heidegger poi individua il Niente che al contrario ne è l’essenza più intima, la Scienza ne ha cognizione però non se ne cura in quanto inutile per ogni specifica ricerca volta esclusivamente all’ente oggettivo, vediamo che il niente è costitutivo di ogni ente e quindi ecco un ragionamento che vuole iniziare dal molteplice per arrivare al particolare- .

Ora Heidegger si domanda: “Cosa è il niente?”, e qui ci si rende conto di un errore che si può compiere con questa domanda, ossia considerare il Niente come un ente. Il domandarsi “Che cosa è”, rende già la risposta impossibile, dovremmo rispondere: il niente è questo o altro, ossia il Niente non è un oggetto e già pensarlo in questo modo, tradisce il pensiero stesso in quanto il niente non può essere l’oggetto del pensiero in quanto si cadrebbe in palese contraddizione: il niente, di cui la scienza non si occupa in quanto non c’è, cioè non ente, se trattato come ente cioè come oggetto sarebbe al contrario esistente. Il pensiero è sempre pensiero di qualcosa, qui sarebbe pensiero come pensiero del niente e agirebbe contro la sua essenza, in base al principio di contraddizione e quindi alla logica generale.

Questo ragionamento è plausibile ponendo la logica come istanza suprema, l’intelletto il mezzo, e il pensiero la via per questo tentativo di svelamento del Niente. Qui Heidegger asserisce, che in base a quel che si è detto parrebbe che non si potesse uscire dall’ausilio della logica per porsi e tentare di risolvere questo problema, ciò in quanto l’intelletto resta sovrano in tale domanda. Il Niente infatti è la semplice negazione universale dell’ente, il Niente viene in questa prospettiva sussunto da una negazione. Ossia, per pensare al niente, dobbiamo partire dalla negazione. Quindi parrebbe impossibile in questa ricerca allontanarsi dall’intelletto, però il filosofo si chiede pure se davvero è la negazione pura e semplice a stabilire il Niente.

Cioè il niente come particolare del negato, oppure si chiede il filosofo è il contrario, abbiamo la negazione, il “non” perché c’è il niente. Una domanda questa mai sollevata prima, e comunque il filosofo asserisce che il Niente è più originario del “non” e della negazione.

Quindi la negazione come operazione dell’intelletto e l’intelletto dipendono dal niente. Quindi l’intelletto non può decidere sul niente, pena un suo vagare nel tentativo.

Tuttavia nel nostro interrogarci dobbiamo per forza incontrare l’oggetto della nostra interrogazione, per ogni domanda ci prefiguriamo comunque questo oggetto, e comunque sappiamo benissimo cosa sia il niente, è la negazione totale dell’universalità dell’ente.

Però, per accadere tale negazione deve esserci data la totalità dell’ente, con la sua negazione poi ci è dato il niente. Ma noi come esseri finiti come possiamo accedere a tale totalità universale?

Tuttavia scrive il filosofo noi possiamo pensare tale totalità nell’idea, poi negare tale totalità nel pensiero. Tuttavia sarebbe un niente immaginato e non vero e proprio, eppure essi dovrebbero coincidere, ma abbiamo visto che se esistente cioè oggettivo risulta di nuovo contraddittorio.

Allora se non possiamo cogliere la totalità dell’ente in sé (cioè fuori dall’aspetto ideale), dobbiamo dire però che che siamo nell’ente che si svela in tale totalità. E tra le due cose vi è una differenza. La prima è impossibile, la seconda accade costantemente nel nostro esserci. Cioè siamo in un’unità con il tutto. Per esempio nella noia autentica appare questo tutto, quando non siamo occupati in qualcosa. La noia profonda accomuna tutte le cose, gli uomini. Pure nell’esserci di un essere amato. In questo svelamento della totalità vi è l’accadimento fondamentale del nostro esserci. Un sentimento, uno stato d’animo quindi ci conducono innanzi all’ente che si svela nella sua totalità, ci si nasconde il Niente. Ossia non può darsi attraverso la negazione di quella totalità di cui scrivevamo sopra, per darsi tale Niente occorre un preciso stato d’animo, per Heidegger ciò avviene nello stato d’animo fondamentale dell’angoscia. Essa non è ansietà o paura, la paura è tale per qualcosa di non determinato, ma indeterminato. Nell’angoscia si è spaesati, non dinnanzi a qualche cosa (aspetto oggettivo prima detto contraddittorio), ma nell’insieme. Sprofondiamo, noi le cose nell’indifferenza, vi è un dileguarsi dell’ente, su di noi incombe il nessuno, cioè il niente. L’angoscia rivela il niente.

L’angoscia ci lascia sospesi, dileguandosi l’ente nella sua totalità, se ci capita, ci sentiamo spaesati, uno di noi si sente spaesato, resta il nostro esserci che non si tiene a Niente. Vi è un vuoto silenzio, non più parole possono essere proferite in riferimento a qualcosa, semmai parole dette a caso. Noi a posteriori possiamo ricordare di quando ci siamo angosciati, e poi ci rendiamo conto che non ci angosciavamo di niente, in quel momento era appunto presente il Niente. A questo punto possiamo interrogarlo: “Che ne è del Niente?”, il Niente si svela nell’angoscia non come ente, il Niente si manifesta con l’angoscia, Il Niente ci viene incontro insieme all’ente nella sua totalità che si dilegua, non vi è da parte nostra una negazione dell’ente nella sua totalità. Nell’angoscia vi è un indietreggiare: a) Questo indietreggiare prende le mosse dal Niente, b) il Niente però non attrae a sé ma respinge, c) questo respingere quindi è un rinviare, facendolo dileguare (allontanandolo) all’ente nella sua totalità che sprofonda, d) in questo processo il Niente angustia nell’angoscia l’esserci.

Questa è l’essenza del Niente, la nientificazione (Nichtung). La nientificazione è il niente stesso che nientifica. In questo nientificare il Niente rivela l’ente nella sua piena estraneità. Nella notte del Niente dell’angoscia, sorge l’originaria apertura dell’ente per cui esso è ente e non Niente. L’evidenza dell’ente in generale è il “Non Niente”. L’esserci davanti all’ente come tale viene portato dalla nientificazione del Niente cioè abbiamo scritto dalla sua essenza. Con la manifestazione del Niente l’esserci dell’uomo si dirige verso l’ente e se ne occupa. L’esserci proviene dal Niente che è manifesto, esserci è essere tenuto immerso nel Niente.

Essendo l’ente immerso nel Niente, l’esserci è da sempre oltre l’ente nella sua totalità. Questo essere oltre lo chiamiamo Trascendenza. Per rapportarsi all’ente e a sé stesso, l’esserci deve essere immerso sin dall’inizio nel Niente. Senza la manifestatezza originaria del Niente, non c’è un esser sé stesso e una libertà, continua a scrivere Heidegger. Quindi qui Heidegger fornisce la risposta alla domanda fatta sopra, alla questione del Niente, il Niente non si presente accanto all’ente, il Niente è ciò che rende possibile la manifestatezza dell’ente come tale per l’esserci umano, il Niente non da solo il concetto opposto di ente, ma appartiene originariamente all’essere essenziale stesso, nell’essere dell’ente avviene il nientificare del niente.

-Vediamo quindi che attraverso questo ragionamento complesso, Heidegger individua l’essenza del Niente che è la Nientificazione, un processo che inizia nell’angoscia, nella quale la totalità dell’ente si ritrae lasciandoci sospesi, ma il Niente, non ci attrae, bensì ci respinge verso l’ente stesso e per questo motivo in questo distacco l’ente si presenta nella sua estraneità, così come noi nei nostri stessi confronti in quanto pure noi siamo ente tra gli enti. Il nostro esserci è originariamente immerso in questo niente e esso, il nostro esserci è da sempre oltre l’ente nella sua totalità e questo lo chiamiamo trascendenza. Senza questa originaria immersione, non vi sarebbe un essere sé stesso, e una libertà.

Quindi la manifestatezza dell’ente viene resa possibile dal Niente, esso appartiene originariamente all’essere essenziale stesso quindi nell’essere dell’ente avviene il nientificare del Niente.-

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