Dopo che Kant riuscì con la sua filosofia a gettare un ponte tra il razionalismo di Descartes e l’empirismo di Hume, con l’intuizione che l’essere umano a livello trascendentale ha il dono di possedere delle categorie a priori riguardo il proprio giudizio conoscitivo riguardo il comprendere e per così dire elaborare ciò che la realtà ci offre nella nostra sensibilità a posteriori, si è posto il problema della cosa in sé. Scrissi in un mio commento ad un post su Facebook in un gruppo filosofico che :

“Si, Kant riusci a trovare un ponte attraverso la sua Critica tra razionalismo ed empirismo, vedi la critica che fece Hume al razionalismo con la palla di biliardo, la conoscenza delle leggi fisiche che ci fanno prevedere che l’urto di una palla spingerà l’altra, il nesso causa ed effetto ci è dato per il filosofo dall’esperienza, non da un ragionamento razionale a priori, così al contrario per Cartesio attraverso il dubbio metodico giunge al cogito ergo sum, res extensa e res cogitans trovano un’unione nell’uomo attraverso una ghiandola pineale. Tuttavia, Cartesio è sempre scettico sugli inganni di sensazioni, fallaci che sono illusioni, non suffragate da dimostrazioni deduttivo razionali. Da qui l’importanza per Cartesio della matematica. Da qui parte Kant riuscire a trovare un ponte tra empirismo e razionalismo. Attraverso le sue categorie a priori, cerca di dimostrare che in noi vi è una sorta di predisposizione nel cogliere il sensibile a posteriori della realtà in modo appunto soggettivo per riuscire a ricollegare il giudizio e quindi il ragionamento con ciò che la realtà ci offre come sensibilità cercando di fugare da un lato i dubbi cartesiani, dall’altro lo scetticismo di Hume. Poi certo dopo teorie come la Gestalt, hanno dimostrato che la nostra percezione della realtà non coincide del tutto con la realtà stessa per come la vediamo, vedi il principio delle buone forme, l’esempio della freccia ecc. Però questo dimostra pure che Kant aveva intuito bene, in quanto noi percepiamo la realtà comunque soggettivamente e attraverso queste categorie a priori che ci danno per l’appunto una sorta di predisposizione a livello scientifico, tramite la capacità estensiva, quantitativa, quantitativa, e quindi le leggi scientifiche, mi viene in mente Galileo Galilei, attraverso l’osservazione aveva inventato formule fisiche, come la massima gittata a 45 gradi di un colpo di cannone, la costante gravitazionale, aveva sbagliato per le maree. Insomma tramite il metodo sperimentale formuliamo leggi fisiche vere, come quella di Newton, superata poi da Einstein, e ora rimessa in dubbio dalla fisica quantistica. Vediamo pure il famoso esempio di Platone che pure come Cartesio, metteva in dubbio quel che vediamo, il remo spezzato, tuttavia lo dobbiamo per forza vedere spezzato per via della rifrazione fatta dalla luce con l’acqua. Piuttosto il grande problema che si porrà e questo per me è il problema più affascinante è l’aspetto noumenico di ciò che appare, che noi possiamo conoscere sin dove arriva la nostra soggettività ma di cosa vi sia dietro non sappiamo nulla. O meglio il noumeno risiede nella ragione e cerca di rappresentarsi ciò che va oltre la sua capacità di conoscere, la cosa in sé e ciò a cui il noumeno si riferisce, è la realtà esterna alla mente. Quindi vediamo come Kant da un lato abbia risolto il divario tra razionalismo e empirismo, questioni che derivavano già da Montaigne, però ora il problema si è spostato tra noumeno e cosa in sé, si pensi che della cosa in sé ne scrisse pure Schopenhauer nel suo “Mondo come volontà e rappresentazione”. Questi limiti però Kant, poi scriverà pure “La critica del Giudizio”, li supererà con il suo concetto di sublime, esempio il sublime dinamico. Vedi un esempio, ti trovi in una grotta ben protetto e fuori c’è un tifone che distrugge tutto, la sensazione che provi ti porta ben oltre la semplice sensibilità, l’idealismo tedesco, Fichte, Schelling, Hegel partiranno proprio da questo per indirizzarsi verso l’assoluto, l’infinito di Leopardi è figlio di questa prospettiva romantica, Schiller, Goethe, Hölderlin, grandissimi poeti, che avranno sempre presente un’idea di assoluto che partita da Spinoza attraverso Kant, giungerà poi a filosofi come Nietzsche Husserl, Heidegger, grandissimi pensatori che influenzeranno tutta la cultura occidentale sino ai giorni nostri Sartre, Severino. Questa è una piccola mia testimonianza sulla grandezza della filosofia, che sin dai tempi dei primi astronomi mesopotamici, ai primi filosofi dell’Asia minore, per arrivare ai greci, ai Romani, sino alla filosofia medievale si è sempre dibattuta sul tema del rapporto tra apparenza e realtà o meglio tra illusione e verità. Le verità ad esempio dei principi metafisici. E qui nasce il dibattito se questi principi vadano indagati solo da un punto di vista scientifico, o come asserisce Heidegger nella su opera “Che cos’è la metafisica”, si debba preferire un percorso filosofico alla luce di quell’essenza dell’essere che si vela e si svela e che è il “nulla””.

Questo è ciò che scrissi. Tuttavia se ci immaginiamo tali categorie come una sorta di simboli composti tra loro a livello strutturale, un po’ come la corrente filosofica dello strutturalismo intendeva pure a livello linguistico, ossia se l’essere umano nel decifrare la realtà utilizzi questa sorta di griglia-struttura simbolica, facciamo un esempio noi a livello ideale abbiamo già la concezione di un triangolo, nella realtà non troveremo mai un triangolo perfetto, eppure secondo Kant, vi è già in noi questa sorta di struttura a priori che differentemente da Cartesio secondo cui in noi vi può essere una idea innata di triangolo posta da Dio, per Kant questa idea è già in noi attraverso tali categorie a priori. Tuttavia resta il problema della cosa in sé, ossia di ciò che di un certo ente è al di fuori della nostra capacità conoscitiva che in quanto soggettiva non riesce a cogliere tutta l’oggettività dell’ente cioè della realtà che ci circonda.

Tuttavia una mia riflessione, considerando che non solo la realtà esterna è considerabile ontologicamente ma come scriveva Heidegger pure noi siamo enti tra gli enti, pure noi, non riusciamo a conoscere noi stessi in tutta la nostra oggettività, in quanto pure questo processo auto-conoscitivo è pure soggettivo.

Allora perché non supporre che questa nostra capacità di cogliere la realtà pure simbolicamente, di costruire meta-linguaggi utili per ricerche, elaborazioni matematiche e quindi scientifiche, insomma chi non può dire che la scienza stessa, religiosamente potremmo dire pure essa dono divino, ma meglio sarebbe facente parte di quella verità invisibile, velata direbbe Heidegger, della stessa essenza dell’essere e quindi sarebbero sbagliate quelle correnti filosofiche come l’esistenzialismo di Heidegger, a volte accusato di irrazionalismo, il quale nega la possibilità di una indagine metafisica attraverso categorie scientifiche. Insomma in fondo pure la scienza creata dall’uomo comunque figlio della natura è essa stessa un conclusione della Natura stessa che attraverso l’uomo si autotrasforma, e potremmo pure dire si autodistrugge, in quanto l’uomo per esempio con l’energia nucleare è in grado sì di inventare la medicina nucleare, ma pure la bomba nucleare.

Ma allora l’essere umano in che rapporto è con sé stesso e con il mondo e la Natura.

E allora lo stesso Heidegger verrebbe confutato sin dall’inizio in quanto la logica stessa tanto a volte deprecata dal filosofo, essendo figlia dell’uomo stesso, della sua capacità di ragionare sul mondo, tutto ciò dallo stesso mondo proviene tra un essere umano che più che artefice è semplice pedina della natura stessa.

Del resto se lo strutturalismo vuole togliere libertà all’uomo in quanto quest’ultimo non farebbe altro che operare a livello strutturale, e quindi considerabile, smontabile, analizzabile in termini finiti, è pure vero che ogni volta sa rimettere in discussione tali strutture e inventarne altre.

Per così dire è proprio dall’essere umano in sé che sgorgano categorie e simboli in grado di comprendere e svelare sempre più la stessa realtà in sé che quindi non sarebbe preclusa all’uomo e tali metodologie induttive e deduttive in quanto figlie dell’essenza umana stessa non sono affatto aliene nella loro ricerca e disvelamento della realtà del mondo stesso.

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