Martin Heidegger fece pervenire questo scritto nel 1946 cercando di dirimere gli interrogativi inviatigli da una lettera di Jean Beaufret che si faceva delle precise domande sulle problematiche etiche che inevitabilmente derivavano da una concezione di tipo filosofica esistenziale iniziata con Heidegger, con le sue successive ripercussioni in Sartre, in una panorama sociale post bellico in cui davvero non pareva possibile scorgere l’essenza umana al di là della sua mera esistenza e con essa quell’essenza della morale che pure Kant ricercò nella sua metafisica dei costumi. Da un lato Sartre evidenziava la difficoltà dell’essere per sé della coscienza di poter abbracciare appieno l’essere in sè del mondo. La capacità sola della coscienza di poter negare l’essere creava questo iato che evidenziava già con la nietzschiana morte di Dio, la impossibilità di giungere davvero ad una essenza della morale e a una metafisica in cui riconoscere valori a livello etico e storico. Le massime di Kant al contrario alla luce del giusnaturalismo e del contrattualismo vedi Rousseau, riconoscevano nell’essere umano una capacità trascendentale di poter riconoscere una morale condivisa e preferibile all’interno dell’arbitrarietà dell’agire umano. E questa è la questione, nel momento in cui cerchiamo dei principi etici per forza di cose dobbiamo chiederci il significato e la correttezza delle ricerche metafisiche dei filosofi nella storia della filosofia, da Parmenide, Platone ed Aristotele, sino appunto a raggiungere Heidegger nel ricercare il rapporto tra essere e quell’esserci che riguarda quell’ente che è l’essere umano.

Il problema insomma era alla luce di quel periodo post-bellico, riuscire a ridare un senso alla realtà umana, ritrovare il significato di quella parola che si chiama “umanesimo”, e fondamentalmente la domanda che Beaufret volse ad Heidegger: “Come ridare un senso alla parola “Umanesimo””. “Come ritrovare un’etica all’altezza dei compiti posti dall’età contemporanea” (F. Volpi, nota intr. Lettera sull’umanismo, p. 25).

L’età della tecnica, allora oggi, ha eroso gli antichi valori simbolici culturali umani e ora si fatica ad intravvederne di validi e solidi che possano resistere ad un’esistenza umana che pare ormai incapace di scorgere più essenze e idee.

Heidegger già all’inizio della prima pagina entra subito nel punto centrale di quella prospettiva da cui guarda la sua filosofia, scrive: “l’essenza dell’agire è il portare a compimento che significa dispiegare qualcosa nella pienezza della sua essenza”, ossia poi scrive, portare a compimento ciò che già è e ciò che è, è l’essere. L’essere insomma come origine di questo dispiegarsi. La dimora dell’essere è quel linguaggio che si origina dal punto più elevato in questo dispiegarsi che è il pensiero. Quindi l’etica si origina non solo dall’agire, ma da ciò che vi è più all’origine come il pensiero e il linguaggio che Heidegger ritiene la dimora dell’essere. Vediamo quindi che l’essenza della morale, che già Kant con le sue massime ricercava nella metafisica dei costumi, lui invece la intende collocare in questo dispiegarsi e già il pensiero è all’origine di tale dispiegarsi.

Questo dispiegamento dell’essere, attraverso il pensiero giunge al linguaggio che a sua volta lo offre all’essere stesso da cui proviene. Inoltre poi Heidegger scrive che il pensiero agisce in quanto pensa, non tanto perché da esso ne debba scaturire un’azione.

Heidegger poi scrive: “il pensiero è l’engagement per e attraverso la verità dell’essere”. Vi è una componente soggettiva ed oggettiva al contempo nel pensiero rispetto al dispiegamento di un essere in cui occupa, secondo il filosofo la posizione più alta. Bisogna liberarsi infatti di una concezione del pensiero tecnica e poietica, che lo indirizza in senso teoretico. Un pò come la filosofia, che vuole farsi scienza per quanto riguarda il suo pensiero. Heidegger qui intende far rientrare il pensiero nel suo elemento più naturale. Secondo Heidegger, infatti il dire del pensiero deve restare nell’elemento della verità dell’essere.

Ora Heidegger viene alla famosa domanda di Beaufret: “Come ridare un senso alla parola Umanismo?”, Heidegger da subito fa una critica a questa domanda, la stessa scelta di una parola “Umanismo”, già crea dei fraintendimenti: ossia gli stessi nomi con i prefissi -ismi, ma pure parole come “logica”, “etica”, “fisica”, essi compaiono quando il pensiero volge alla fine, scrive il filosofo, ossia il pensiero più genuino già le esclude a priori, come le pretese di tecnicismi, dei quali purtroppo nemmeno la stessa filosofia nelle sue pretese teoretiche ne è esente. Il pensiero infatti scrive è il pensiero dell’essere. Il pensiero come ascolto dell’essere. Parole molto belle queste che vedono collocare il pensiero da parte dell’autore in una dimensione cristallina, pura ed essenziale. Dove l’essere si prende cura, ama l’essenza di questo pensiero. Questa tacita forza dell’essere riguardo il pensiero delinea la “possibilità”.

Ora Il filosofo fa una netta distinzione tra l’interpretazione di possibilità che ne fa la logica e la metafisica, ad esempio la potenza e atto aristotelico o la differenza tra exixtentia ed essentia, lui per possibilità, non la intende solo rappresentata come può essere la potenza come essenza di un atto dell’esistenza, ma è l’essere che con amore può sul pensiero che è l’essenza dell’uomo, un potere che si conserva, come appunto scrive Heidegger nel suo stesso elemento. L’esercizio scolastico, la techné scrive Heidegger inizia quando il pensiero ritraendosi esce dal suo elemento cioè l’essere.

Qui è interessante il fatto che l’autore porta in causa la filosofia e chi in realtà più che esprimere un pensiero, si riduce semplicemente ad occuparsene proprio per questo ritrarsi del pensiero nei confronti di un linguaggio filosofico che partendo da cause ne dà una tecnica della spiegazione, ricadendo in concetti caratterizzati da -ismi esposti pubblicamente. Vi è una sorta di dittatura di questa dimensione pubblica in cui le varie tecniche esplicatorie si incrociano, il linguaggio quindi si asserve a questa funzione mediatrice nella comunicazione pubblica.

Ciò che è comprensibile o incomprensibile ricade quindi in questa dimensione per così dire convenzionale. Vi è una decadenza del linguaggio che spinto dalla metafisica di cui sopra, viene a cadere fuori dal suo elemento. Vi deve essere cioè un ritorno all’essenza del linguaggio, l’essere che di volta in volta è in quanto linguaggio. Il linguaggio al contrario per Heidegger, diviene lo strumento del dominio sull’ente. Al contrario l’uomo, lasciandosi reclamare dall’essere abbia ben poco da dire. E così ridare ricchezza all’essenza della parola, per Heidegger la cura è un ricondurre l’uomo alla sua essenza. In questo senso per Heidegger si può intendere humanitas. L’uomo deve curarsi d’essere umano e non non-umano, cioè al di fuori della sua essenza.

Ora Heidegger scava nell’etimologia di Humanitas, parte addirittura da Marx, l’uomo umano è essenzialmente sociale, poi in senso cristiano, dove l’humanitas ha il suo limite nella deitas, sino all’origine più pura della parola che affonda nella cultura antica romana, che a sua volta l’ha ereditata da quella Paideia che veniva insegnata nelle scuole filosofiche della tarda grecità. Il Rinascimento, il Romanticismo di Schiller, Goethe, vi è in questo attingere all’Humanitas, una ripresa della grecità. E qui cita un poeta importante per quanto riguarda questa indagine sull’essenza dell’uomo, cioè Holderlin, perché scrive aveva pensato tale destino dell’essenza dell’uomo in modo più iniziale.

Qui poi vi è una critica, in quanto tutte queste determinazioni di Humanitas, paiono essere fondate in senso metafisico, ogni umanismo rimane metafisico, scrive Heidegger. L’umanismo, in queste accezioni non si pone la questione del riferimento all’essere scrive Heidegger, ha una provenienza metafisica e impedisce che si ponga tale questione. Per ovviare al problema l’unica è porsi la domanda che cosa è la metafisica.

Per Heidegger ora la domanda sulla verità dell’essere, deve proseguire paradossalmente attraverso una domanda metafisica. Il primo umanismo considerava l’essenza universale dell’uomo coma “animale razionale”. una definizione però questa condizionata dalla metafisica. Ora qui Heidegger scrive delle importanti parole:” La metafisica rappresenta l’ente nel suo essere e pensa così anche l’essere dell’ente, ma essa non pensa l’essere in quanto tale, non pensa la differenza tra l’essere e l’ente” (Lettera sull’umanismo p. 44). Ossia la metafisica non domanda mai della verità dell’essere e in che modo l’essenza dell’uomo appartiene a tale verità.

Per Heidegger, la metafisica in quanto è metafisica non è in grado di porsi tale domanda, l’essere, scrive Heidegger, deve ancora divenire degno per l’uomo di essere pensato. Si era determinato prima essenzialmente l’uomo come animale razionale, la ragione svolge l’apprensione dell’ente, sia a livello di principi o categorie e comunque lo fa nel suo essere, l’essere già aperto nella radura. Però altra questione è la presunta animalità di quest’uomo razionale, l’animalitas, in greco zoon, e come ousis, sostanza. Ossia scrive l’autore, l’uomo potrebbe essere considerato ente tra gli enti, l’uomo verrebbe inserito in tale definizione, da un lato l’animalità e dall’altro l’anima, lo spirito. Questo sarebbe il metodo interpretativo della metafisica, che per Heidegger è riduttivo. La metafisica, dovrebbe dall’animalitas, volgersi vero l’Humanitas dell’uomo per coglierne l’essenza.

Il vero umanismo per Heidegger è pensare l’umanità dell’uomo a partire dalla vicinanza all’essere. In questo gioco è legata pure l’esistenza dell’uomo.

Poi infine Heidegger affronta il problema dell’etica, il termine etica scrive, compare per la prima volta in Platone, con la logica e la fisica. Eppure poi scrive, i primi pensatori, pur in teoria non conoscendo tali termini, il loro pensiero non era per nulla illogico o immorale. Vedi pure le tragedie di Sofocle esse nascondono l’ethos in modo più iniziale delle lezioni di Aristotele sull’etica. Oppure come l’aneddoto che voleva Eraclito accogliere gli stranieri in un forno, essi si aspettavano un pensatore grande e famoso come Eraclito in un luogo ben diverso, più appariscente. Ma lui risponde, gli déi sono presenti anche qui. Appunto come l’etica, che uscendo da un contesto puramente teorico o teoretico in realtà nel suo significato più essenziale è in realtà sempre presente all’uomo.

Nel solito, appare l’insolito, ethos, Eraclito usa questa parola in questa frase, come soggiorno, il soggiorno (solito) è per l’uomo l’ambito aperto per il presentarsi del Dio (in-solito). Quindi se per ethos si intende il soggiorno dell’uomo, allora nell’essere pensato dall’uomo, che è l’elemento iniziale dell’uomo come esistente, esso è già in sè l’etica originaria.

Questo era il punto che penso interessasse a Beaufret, e comunque interessa pure a me, Heidegger si difende dalle accuse di irrazionalismo e in questo orizzonte dell’esserci dove si intravede l’essere, cioè quell’essenza verso cui si dirige per primo un pensiero che si ritrae già quando il linguaggio non è più la dimora dell’essere, ebbene l’etica, è già lì, e lì risiede la radice di ogni possibilità umana intendibile come scelta, come decisione. Quindi in un periodo così buio come quello di allora che aveva visto l’orrore della guerra e che per certi aspetti continuiamo a vivere pure noi oggi in un’epoca in cui la tecnica trasformatasi non solo in ausilio e aiuto per l’uomo, ma pure in armi, in morte, oggi noi esseri umani dovremmo tornare indietro alla nostra essenza, come dovrebbe fare la stessa filosofia riscoprendo un filosofare genuino, dovremmo tutti ritornare alla casa dell’essere e lì ritrovare finalmente quell’Humanitas che da tempo abbiamo perso com’è rimasto purtroppo vuoto, il cielo di Holderlin, gli dèi ormai lontani.

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