“Perché la guerra?” una semplice domanda, eppure è così difficile dare una risposta. Il fatto che uomini lottino contro altri uomini, ci si chiede cosa li spinga, se vi è una sorta di capo che li aizza uno contro l’altro, se vi è un qualcosa da difendere o conquistare. Qui emergono già tre concetti, uno quello di “capo”, l’altro quello di “difesa” e “offesa”. Analizziamo il primo, quello di “capo”. Perché nella storia dell’uomo vi sono stati Re, dittatori, tiranni, o comunque figure di riferimento rispetto a un gruppo di uomini? Premetto che questo mio scritto desidera avere una prospettiva filosofica, non una esposizione di teorie diverse, ma un tentativo attraverso un processo deduttivo o induttivo di tentare un’esplorazione argomentativa, ricca di buon senso del buon senso per così dire socratico. Premesse e conseguenze. La natura logica di questo percorso, desidera ricercare un’analisi filosofica, evitando di incorrere in inutili introspezioni. Per Aristotele la logica fu un importante campo di studi su di una ricerca ontologica già fondata da Parmenide e portata avanti da Platone. In anni più vicini ai nostri vi sono stati filosofi che hanno messo in discussione il linguaggio filosofico, ma pure quello comune a cui per forza attinge ogni disciplina umanistica tra cui per forza pure la filosofia, in quanto ambiguo, insufficiente a cogliere verità incontrovertibili in una ricerca forse che desiderava farsi matematica, scientifica per esempio nella scuola filosofica inglese, Russel, Wittgenstein. Costoro si chiedevano come dovesse essere un linguaggio filosofico opportuno, diretto. Al riguardo mi viene in mente il linguaggio socratico, e l’arte di levare la parola all’interlocutore, arte questa peculiare della madre di Socrate che la tradizione vuole essere stata una levatrice. Questa capacità di far uscire il daimon, lo spirito, la verità concettuale esito di discussioni con il loro bravo buon senso tipicamente umano.

Il capo

Tornando alla questione, abbiamo evidenziato il termine “capo”, potremmo considerarlo una figura di riferimento, certo sappiamo quel che scrisse Hobbes sull’”homo homini lupus”, su come dalla notte dei tempi, l’essere umano nella sua convivenza sociale necessaria alla sopravvivenza in un ambiente ostile, abbia ceduto parte della sua libertà d’essere di fatto contro tutti, per cederla ad una figura, la quale se da un lato diveniva depositario di tali libertà che rendevano il singolo in questione di fatto suddito, questa figura di depositario di tutte le libertà per così dire cedute, come capo o re, diveniva la prima forma di governante, che oggi in senso astratto definiamo Stato. Tornando indietro per esempio all’epoca delle polis greche, la città in realtà non era definibile come forma di stato in senso astratto ma erano “gli ateniesi”, il popolo ateniese si considerava tale come stato avente in seno una democrazia, composta da assemblee ecc. Ora qui non vado nel dettaglio della questione. Comunque pure gli ateniesi ebbero un capo tiranno Pisistrato.

Tornando alla figura di capo o padre ancestrale, pure Marcuse in “Eros e Civiltà” accennava al parricidio, come forma naturale di liberazione dell’uomo, che però successivamente sostituiva con quello del principio di realtà, ossia la successiva ricerca di una nuova sottomissione.

L’essere umano percepisce secondo me la necessità di vivere in un contesto ordinato fatto di leggi che sole gli possono consentire una libertà, nella sicurezza che la sua libertà non interferisca con la libertà degli altri e questo perché a sua volta quella degli altri non interferisca con la sua.

Quindi vediamo che qui emergono una pletora di nuovi concetti, quello fondamentale di “libertà”, e quello delle “leggi”, da cui deduciamo quello di “giustizia”. Cosa è la Giustizia? Il nostro soggetto umano preso a campione che identifichiamo come il “signor x”, durante la sua vita di cittadino, potrebbe incorrere in una qualche disavventura, incorrere in un torto. Riflettendoci sopra lui giunge alla conclusione che vi deve riparare ossia avere per sé ciò che è giusto da opporre a quello che ritiene ingiusto. La necessità delle leggi è proprio per poter definire le regole di una convivenza civile. Ma noi uomini, il signor x, riteniamo che le leggi siano il tassello necessario per poter svolgere la nostra vita in modo sicuro in vista di naturali obbiettivi, che sono innanzi tutto la vita stessa della persona che vuole per l’appunto sopravvivere e poi dedicarsi alle proprie occupazioni, al lavoro, alla comunicazione, a quella che con lo sviluppo di una civiltà diviene la cultura di quella civiltà. Dal mito alla letteratura, alla filosofia, vi sono innumerevoli esempi nella storia dell’uomo di tutto questo, ma resto sempre in questo ambito filosofico, in senso speculativo buono.

Quindi abbiamo parlato di cittadini, di stato, leggi e giustizia. Solo che nel mondo vi sono più popoli, più gruppi umani. Compio questo percorso in senso trasversale, diremmo sincronico, tralasciando l’aspetto storico che si sa vede una continua trasformazione tra culture popoli e civiltà, non sempre in senso evolutivo, a volte, molto spesso le cose non vanno affatto verso un miglioramento o ordine, certo, l’essere umano da sempre ha cercato di migliorare la propria esistenza, ma troppe volte proprio a causa del concetto che fa il titolo la “guerra”, le cose invece di migliorare peggioravano, dalla vita verso la morte.

E qui potremmo chiederci perché noi esseri umani, nonostante la nostra intelligenza, ci facciamo ammaliare dalla violenza, la sopraffazione, la scelta che in senso manicheo potremmo definire del male.

Prima parlavo di civiltà e popoli, ora c’è da dire che come in senso hobbesiano, l’”homo homini lupus”, oltre che per ogni singolo uomo, lo possiamo affermare per tutto un insieme di uomini che come popoli sono retti da forme di governo più o meno evolute, ma che comunque culturalmente li definiamo come popoli che si scontrano con altri popoli, regnanti con altri regnanti. Quindi non vi è solo la guerra del singolo, ma pure le guerre tra i popoli.

E qui arriviamo al punto, ossia alla ricerca di una motivazione per cui un popolo deve fare la guerra ad un altro popolo. Ipotizzando che le ragioni dei regnanti, o dei governanti siano le stesse dei cittadini, due popoli potrebbero entrare in guerra tra di loro perché vi sono due volontà chiamiamole collettive che si affrontano e scontrano. Potrebbe essere un territorio conteso, ambito per determinate risorse, oppure, questo tipo di guerra si conduce da anni, con il prevalere a volte di una parte sull’altra o il contrario, e ciò abbia indotto un sentimento di odio, di rivincita, di vendetta.

Questo comunque ipotizzando che questi due popoli siano simili per forma di governo, e volontà come scrivevo condivisa. Ma vi potrebbe essere pure un’altra opzione, ossia che uno di quei popoli siano retti da una sorta di tiranno, e l’altro invece come sopra da una volontà condivisa. Nel primo caso allora la volontà più che condivisa sarebbe imposta. Molti sono gli strumenti e antichi con cui un tiranno può esaltare un popolo e convincerlo ad una guerra. Poi magari gli interessi per la vittoria, coinvolgono solo il sovrano, capo, dittatore che dir si voglia, insomma quella volontà risulterebbe la volontà di un singolo. Ma allora riprendendo il concetto hobbesiano di cessione di parte dei propri diritti ad un sovrano il quale in virtù di questo comanda i suoi sudditi e costituisce per così dire lo Stato, in questa prospettiva potremmo parlare di un settecentesco stato assoluto, vediamo che qualcosa non torna. Se la volontà è di un solo singolo di far quella guerra, allora il ragionamento sul costituirsi di una struttura comunque organica cederebbe, a meno che al posto del sovrano non vi mettiamo un Stato astratto, con la sua brava costituzione.

Eppure oggi stesso vediamo come in molti casi nonostante tutto in un sistema governativo, viene a prevalere la pura volontà di un singolo uomo, però con in mano i potenti strumenti di uno Stato che ha deciso nonostante tutto di supportarlo, e i cui cittadini volenti o nolenti si ritrovano privati di ogni diritto e impossibilitati politicamente ad opporsi ad una situazione del genere.

Qui ci troveremmo di fronte comunque ad una dittatura mascherata.

Questo sovrano assoluto, potrebbe ritenere necessario che nel proprio paese debba esservi un ordine imposto. Qui troviamo una nuova parola, che con il suo significato introduce qui un nuovo concetto “ordine”, pensiamo a definire la parola ordine: tutto ciò che è ordinato viene a collocarsi in una dimensione determinata e quindi prevedibile, che non lascia spazio al caso. “caso” nuova parola, è ciò che potrebbe introdurre nella prospettiva precedente disordine, caos, imprevedibilità. Una prospettiva di governo che intende imporre una dimensione ordinata, non ammettendo il caso, per “caso”, si intende una indeterminatezza come il lancio di una moneta, che potrebbe darmi testa o croce. Se si instaura un potere a livello governativo assoluto, questo potrebbe iniziare a ordinare e quindi pianificare. Non si ammetterebbe l’indeterminazione per esempio di un libero mercato, ma si imporrebbe semplicemente uno scambio diretto tra una fornitura di merci centralizzata e chi ne fruisce il quale unità individuale identica alle altre individualità, vivrebbe di fatto una vita automatica all’interno di un insieme di ingranaggi che sarebbero quelli suppergiù meccanici che muoverebbero la società derivante da tale concezione.

Al contrario una società retta da un regime liberale si muoverebbe all’interno di strutture che permettendo la libertà del singolo in un libero mercato, permetterebbero a ciascuno di partecipare liberamente con le proprie forze dando il proprio contributo ad un tessuto economico la cui risultante sarebbe sempre armonica, sebbene ammettente il cosiddetto “caso”.

Del resto in una dittatura non vi potrebbero essere libere elezioni, o assemblee in cui discutere dei problemi che di volta in volta la collettività dei cittadini deve affrontare. L’elezione di un rappresentante infatti non è prevedibile a priori e ciò introdurrebbe quella indeterminatezza di cui parlavo sopra che per chi intende costruire una società ingessata ai suoi interessi, non potrebbe accettare.

La Metafisica dei Principi

E qui faccio una parentesi filosofica: due spesso sono gli ambiti esplorati dalla filosofia, quello che ammette una dimensione metafisica, e quello che non la ammette. Ora cosa intendiamo con la parola “metafisica”? Pensiamo a Platone e la sua dimensione iperurania, al mondo delle idee, queste costituivano il principio della formazione del mondo, della Terra. A tal proposito sarebbe interessante leggersi il “Timeo” di Platone. Il termine Metafisica deriva da “meta ta fisikà”, scritto con l’alfabeto italiano, che indicava i trattati di Aristotele che seguivano quelli della fisica. In questi Aristotele vi collocava i principi, le cose prime, per così dire i motori che guidavano l’intero mondo. Quindi io introduco il termine metafisica con il suo significato di argomento intorno ai principi o cause prime esposti in campo filosofico, tuttavia questa dimensione metafisica, può essere o monista o dualista. Un esempio, per Parmenide questo principio era l’”essere”, che non poteva “non essere” a pena di entrare in un paradosso (contraddizione). Per Platone questi principi come scritto sopra erano le “idee”, le quali sole facevano riferimento alle cose terrene, ma per Platone il mondo fisico, terreno era illusorio, la verità si colloca nella dimensione iperurania delle idee, dimensione a cui dovrebbe cercare di tendere l’essere umano cercando quindi un’elevazione piuttosto che una discesa nel “non essere” terreno. Pure il neo platonismo, e le dottrine non scritte di Platone accennano all’”Uno” che rappresenterebbe quella perfezione a cui tendere prigionieri come siamo nella nostra dimensione molteplice ed imperfetta. Di fatto tendiamo verso l’uno senza però mai raggiungerlo, capiamo allora che questa prospettiva filosofica è dualista.

Al contrario come altri filosofi, ad esempio Spinoza, possiamo ritenere unico ed eterno un unico essere di cui tutti facciamo parte e in esso a livello assoluto troviamo l’unicità del tutto che si fa totalità.

Filosofi come Nietzsche o Marx si indirizzarono verso questa concezione unica di un essere, concezione non dualista, e Marx stesso a livello politico fondò quel socialismo che innalzava come figura unica uno Stato che tutto comprendeva e possedeva al cui interno i membri vivevano e si muovevano in un’uguaglianza dovuta ad una equiparante partecipazione in uno Stato in cui appunto si diluivano in questa che possiamo definire società totalizzante.

Aspetto Politico

Una visione dualista a livello politico introduce l’indeterminatezza che aiuta a salvare l’intimità dell’essere umano. Nella Totalità tutto è compreso, il dualismo ammette una dimensione umana privata e irraggiungibile, da rispettare e la si identifica con la sua libertà di agire in una libera società che più che predeterminare, crea i presupposti in senso democratico per una progressiva costruzione frutto di una libera coscienza umana, che elegge i propri rappresentanti riconoscendo l’esistenza di maggioranze che sole possono decidere del futuro di un popolo.

Introduco queste due diverse concezioni in quanto questo scritto sulla guerra si rifà a questa ultima guerra a cui dobbiamo assistere, tra l’Ucraina e la Russia, e al fatto che oggi è di attualità un certo scetticismo sulla ricerca volta al trionfo della democrazia. Si passa da un estremo all’altro dal concetto politico di “Nazismo” a quello di “Comunismo”. Ci si definisce “anti-nazisti” mentre i nazisti sono gli altri, coloro che con spirito patriottico si difendono da un’invasione vedi l’Ucraina, si mette in crisi il concetto di patriottismo, scambiandolo per nazionalismo, e qui ci sarebbe da chiedersi la differenza tra patriottismo e nazionalismo. Ci si dimentica che ciascuno di noi ha diritto ad avere un luogo dove poter vivere in pace e per forza difendere quel luogo, del resto è naturale che sia così ogni essere vivente desidera sopravvivere in un mondo in cui la Natura delle cose più che favorevole e sfavorevole, e del resto se la specie umana esiste ancora è perché è sempre stata in grado di poterlo fare ricorrendo a risorse nel corso dell’evoluzione stessa di flora e fauna in un mondo che non ti sconta nulla.

La Russia

Oggi la Russia è un paese in cui le elezioni e l’opposizione politica vengono giudicate inutili. Chi governa ritiene di essere sempre nel giusto, di fare scelte utili per il paese e per i cittadini. A tutto ciò poi si affianca quella che è la locale gerarchia religiosa, che avanzando una infallibilità divina giustifica l’agire di quello che è collocabile nella mia prima prospettiva ossia del tiranno o dittatore.

Da un punto di vista filosofico siamo in una dimensione monista e determinata, ordinata perché non ammette alcuna differenza.

Tuttavia questa dimensione politica ha un limite. Chi decide è un’unica persona e questo è un deficit intellettivo a livello politico sociale? Perché? Perché se è una sola persona con il suo unico cervello a decidere, non vi è una squadra di persone che danno un loro libero contributo al progresso sociale che anzi al contrario subirebbe un’involuzione. Il popolo sarebbe semplicemente passivo in quanto ritenuto inutile dall’alto un suo libero contributo.

In questo senso quindi possiamo dire che questa dittatura si riterrebbe infallibile. Ma così non è, vi sarebbe al contrario un’insufficienza nel prendere decisioni adeguate alla risoluzione dei problemi che per esempio in una guerra dovrebbe affrontare.

E qui quindi arriviamo ai due corni del problema che di fatto introducono un dibattito una discussione tra due prospettive che sono insieme filosofiche, politiche e sociali.

La prospettiva dualista, che ammette una indeterminazione a livello di principio metafisico, prima accennavamo a Platone, ma potremmo parlare pure di Aristotele dove questo dualismo lo identifichiamo tra forma ed essenza, potenza e atto. E l’altra prospettiva che poi spiegherò, più organica dove il principio è contenuto in ciò che è esso stesso principio e fine in un essere autosufficiente unico, in cui non vi è una differenza tra principio e fine, potenza e atto unicità e molteplicità. Dove non vi sono verità oltremondane, dove l’uomo diviene principio di sé stesso e in quanto tale dio in terra artefice e distruttore di un essere di cui fa parte e di cui non ha più bisogno di ricercarne una divina, una dimensione ulteriore dalla quale sgorghi il destino dell’umanità.

Monismo

In questa prospettiva l’uomo diverrebbe proprietario non solo del presente ma pure del passato e futuro, potrebbe cambiare la storia stessa di cui lui è unico padrone, giungerebbe insomma ad una verità ultima, insuperabile che trasformata in principio politico diverrebbe l’ultima e assoluta forma di stato che non ammetterebbe più alcuna indeterminazione in un universo politico programmato i cui componenti sono unità ben definite.

Ma cosa dopotutto riassume queste due prospettive che si contrappongono?

Capitalismo e Socialismo. Le teorie economiche classiche hanno giustificato un’economia competitiva per la necessità che solo il più forte abbia la liceità di esistere e sopravvivere. Ad esempio Darwin fu accusato di aver sviluppato le proprie teorie evolutive partendo da Malthus, e vari altri economisti i quali identificavano questo tipo di approccio economico.

Ma poi arrivò Marx con la sua opera “Il capitale”, nel quale erano contenute tutte le perplessità di un’economia dove appunto i più deboli erano quei proletari che lasciavano la salute in fabbriche malsane in orari di lavoro esagerati. Con la rivoluzione industriale in Inghilterra, si iniziarono ad usare macchine a vapore in grado di produrre quantità di prodotti prima inimmaginabili, spesso sfruttando il lavoro minorile. Approfondendo questo tema vediamo come nel corso dei secoli la società umana è cambiata pure in virtù dell’evoluzione tecnica dei mezzi di produzione. Lo stesso capitale non è altro che il frutto di quel plus valore come scoperto da Marx, dovuto a una produzione sempre più efficiente che permetteva di diminuire i costi di produzione e quindi con maggiori margini di guadagno. Questo denaro però veniva accumulato, non aveva una redistribuzione in una società che vedeva nuovi ricchi a fronte di una povertà proletaria accentuata.

Quindi è stata l’evoluzione tecnica, risultato del progresso scientifico che è venuta ad introdurre un grande problema etico, lo sfruttamento dei lavoratori in vista della creazione di grandi quantità di capitali che poi magari venivano reinvestiti nell’edilizia ecc. Le città cambiavano fisionomia, negli USA prima del crollo del 29’ pareva che questa ascesa del capitalismo fosse inarrestabile. Per Marx solo con la Rivoluzione era possibile interrompere il ciclo vizioso dello sfruttamento capitalista e nacque il comunismo. Quest’ultimo, con le programmazioni economiche, i piani, abolizione della proprietà privata mezzi di produzione, intendeva ovviare ai problemi capitalistici per ridare dignità alle classi produttive.

Gli obbiettivi quindi erano nobili eppure le forme concrete che ne risultarono, dopo la rivoluzione di ottobre in Russia, poi in Cina, pare che alla fine abbiano dato risultati contraddittori.

Se si cerca di pianificare una società e lo si deve fare per forza se si elimina il libero mercato, si distribuiscono le risorse secondo programmi precisi, il lavoro è per tutti ma obbligatorio, l’unico capitale che c’è è quello statale, si finisce con l’eliminare la libertà individuale. Del resto Marx lo aveva detto, per lui la soluzione era la dittatura del proletariato.

Forse per lui questa era l’unica soluzione possibile in quanto risulta difficile eliminare quella libertà di scambio che per l’uomo esiste sin dalla preistoria. Il problema è che non può esistere una verità ultima che divenga capolinea per la storia dell’uomo, per la sua economia e per la politica, se lo fai per forza cadi nella dittatura più pura.

Eppure l’uomo da sempre ricerca questa verità, forse per placare le molte insicurezze, in primis la morte. Perché infatti questo insistere dell’uomo nell’estendere la propria ricerca, la conoscenza del mondo? Grandi scienziati sono stati pietre miliari per le scoperte in tutti i campi dello scibile umano, dalla letteratura, psicologia, filosofia, fisica, matematica. Proprio per questo per dare un significato ad una vita troppo breve, che si vorrebbe vivere in maniera sempre più soddisfacente, più sicura e libera appunto da tutte quelle incertezze indeterminazioni, casualità che purtroppo dettano e costituiscono i limiti dell’uomo, quei limiti che lui vorrebbe oltrepassare per esempio scrutando sempre più lontano nelle profondità dell’Universo.

Quindi l’uomo vorrebbe divenire padrone di sé, della storia, dell’essere di tutte le cose. Da qui la ricerca della perfezione, e la si ricerca pure da un punto di vista economico e politico.

Questo per me aveva visto Karl Marx nelle ingiustizie di quel nuovo capitalismo che si affacciava nei suoi anni, trovare una riparazione a tale torto, appianare quelle contraddizioni, volgersi verso quell’essere, quella storia che sentiva l’uomo doveva padroneggiare eliminando quell’apparente libertà imprenditoriale causa di queste ingiustizie.

Etica e Scienza

Quindi vi è un rapporto tra etica e scienza, la seconda viene a influenzare la prima e questa la società e l’essere umano. L’uomo avanzando nella sua ricerca cerca vie nuove di sviluppo politico sociale, cerca di padroneggiare gli esiti degli eventi che però nonostante questo continuano a sfuggirgli, ricadendo nelle guerre e in quella morte che cercava di evitare.

Comunque questa ricerca c’è è inevitabile. Lo stesso sviluppo capitalistico è stato mitigato da soluzioni compatibili con la visione marxista. E’ possibile inventare economie più eque e a misura d’uomo. E comunque si continuerà su questa strada a ricercare vie innovative per un più equo sviluppo economico.

Tuttavia purtroppo, nella storia umana, avvengono vicende che portano a guerre cruente, le stesse armi sono divenute sempre più potenti proprio per le scoperte in campo tecnico, e oggi assistiamo ad una concreta minaccia nucleare da parte della Russia.

L’essere umano dagli albori della sua civiltà ha sviluppato la capacità, unica nel suo genere di trasformare oggetti esterni a lui in utensili. Oggi quando battiamo un chiodo con un martello ci pare scontato, eppure pur prendendo un animale molto intelligente come un cane, andrà a prendere la pallina, ma mai immaginerà di poter creare utensili.

Da utensile ad utensile, noi esseri umani, con la nostra capacità di prendere ad esempio ciò che ci offre la natura, di tradurlo, attraverso la nostra capacità di immaginazione, fantasia, ma pure calcolo in congegni sempre più sofisticati, li utilizziamo come ausilio, per la nostra sete infinita di ricerca e conoscenza.

Quindi vi può essere un buon uso, ma pure un cattivo uso dell’intelligenza umana. Un semplice esempio, il coltello per tagliare, un semplice utensile può essere trasformato in spada per la guerra, con un balzo iperbolico di qualità, le scoperte di questo ultimo secolo sulle caratteristiche dell’atomo hanno permesso la medicina nucleare, ma pure le armi atomiche. Al centro abbiamo sempre l’uomo con le sue scelte che possono indirizzarsi verso la solidarietà e la giustizia o l’ingiustizia, e la guerra è il risultato appunto di quest’ultima considerazione.

Nel momento in cui un popolo decide di scagliarsi contro quello che considera un altro popolo in quanto “altro” in un altro territorio, può essere appunto una conseguenza di questa ingiustizia.

Prima si discuteva sulla necessità dell’esistenza di leggi che potessero regolare la convivenza civile, le leggi si fondano a partire da un’etica condivisa basata spesso sugli errori e le scelte negative che hanno portato a piccole o grandi tragedia nella vita del quotidiano. Ma pure nel rapporto tra diversi popoli dovrebbe sussistere una sorta di indicazione su leggi internazionali che come regolano la vita di ciascuno di noi, al contempo quella di più stati tra loro. Un esempio oggi l’ONU, una organizzazione che cerca di trovare e mantenere un equilibrio attraverso decisioni approvate da stati membri. Quindi il fatto che una nazione ad esempio decide di invaderne un’altra, possiamo analizzare la vicenda e considerarla da un punto di vista etico giusta o ingiusta. Per esempio il compimento di una strage di civili in un contesto di guerra è una profonda ingiustizia.

Questi esempi li porto per mettere in luce la connessione che vi è da un punto di vista etico tra i rapporti tra individui e gruppi di individui. Facendo un’analisi insiemistica, senza nulla togliere al fatto che l’individuo è una persona, vi sono persone e gruppi di persone. I gruppi costituiscono da una famiglia a una nazione, cioè ad un popolo. Un popolo ad esempio contro un altro popolo, come può essere una persona contro un’altra persona.

Sopra si diceva che alla fine è conveniente per gli uomini stipulare delle regole, per la convivenza civile e sembrerebbe naturale ci fossero regole o leggi per la convivenza dei popoli. In caso di ingiustizia, il progresso legislativo attraverso giudici ha fatto sentire la sua voce con giudizi e sentenze nel tentativo di portare una comunità sempre verso un equilibrio dove si cerchino di diminuire quelle che ho denominato ingiustizie, lo stesso lo possiamo definire in maniera generale nel rapporto tra popoli.

Ma allora come è giusto che possa difendersi il singolo, è pure giusto che lo possa fare un gruppo di uomini. Ma qualora un percorso per così dire ufficiale attraverso leggi e giudici fosse impossibile? E qui veniamo a due concetti quello di “pacifismo” e quello di “difesa”.

Pacifismo e Difesa

In base a ciò che abbiamo illustrato sopra, dall’alto vi è lo sforzo di legiferare per poter dispensare giustizia nella compagine di una comunità civile, un popolo. Dall’altra parte vi è la richiesta del singolo di poter ottenere dal basso quella giustizia che gli viene dispensata in un contesto che definiamo democratico. Ma cosa succederebbe se vi fosse l’impossibilità di un aiuto dall’alto, mentre dal basso l’ingiustizia che si sta subendo potrebbe portare alla morte? Esempio classico, un ladro entra in casa nostra e ci minaccia con un’arma e probabilmente la userà e ciò comporterà la morte nostra e dei nostri familiari. In quel momento ciascuno di noi torna allo stadio più ancestrale, definiamolo animale in cui qualcosa di istintivo scatta nel nostro cervello e mettiamo in azione una difesa tra quelle possibili, difesa che può comportare la violenza e la procurata morte dell’avversario. Da qui il tema del pacifismo, il quale recita in modo assoluto che non vi può essere mai alcuna violenza o offesa, ma in che rapporto può essere il pacifismo con la difesa, e questo rapporto desidero illustrarlo nelle due prospettive di cui sopra, tra individuo e individuo e tra gruppi di individui, e vediamo come la guerra che ne scaturisce la si può considerare sotto entrambe le prospettive.

Come scrivevamo sopra il pacifismo lo possiamo considerare in due modi diversi, nel primo caso, in quello del ladro che entra in casa, potremmo dare significato al pacifismo come rinuncia a quella difesa, quindi la scelta di una sottomissione, sino all’accettazione della morte, e quindi di un’ingiustizia subita in quanto dall’alto non si è stati in grado di dispensare al contrario giustizia.

Tuttavia questa analisi non è completa perché in passato abbiamo avuto storicamente casi di pacifismo e non violenza che al contrario hanno avuto come effetto l’attuarsi della riuscita da parte di un popolo di difendersi dalla privazione, nel caso dell’India ai tempi di Gandhi della propria indipendenza. In questo caso vediamo come la scelta pacifica sia stata quella più efficace. Ma allora come è possibile che nel primo caso si può avere salva la vita con la violenza e nel secondo caso con la pace? Tenendo conto che in entrambi i casi ci troviamo in un contesto profondamente ingiusto, dove una giustizia calata dall’alto non avviene.

In entrambi i casi la giustizia se la si vuole procurare da soli partendo dal basso e come visto la si vuole ottenere in due modi opposti. Allora ci rendiamo conto che nel secondo caso il pacifismo o l’offesa violenta hanno una cosa in comune, la loro strumentalità, vengono utilizzati a livello strumentale come scelte oggettive, mentre quando molti pacifisti lo si considerano tali, lo fanno in modo soggettivo a livello assoluto. Quindi nel primo caso abbiamo un uomo che fa delle scelte etiche con un fine o obbiettivo che è la sua sopravvivenza, nel secondo caso invece il pacifismo diviene un’idea che sovrasta l’uomo a livello assoluto.

Ma è l’uomo che deve costruire le sue leggi e decidere un carnet di disposizioni le quali prevedono possibili azioni erronee, ingiuste, comminando pene nella prospettiva di scoraggiare tali azioni.

Quindi la scelta di una “difesa”, il “difendersi” è insito in tutto ciò che fa parte di una istituzione all’interno di un popolo. Noi ogni giorno ci difendiamo pure nella maniera più semplice, portando le nostre argomentazioni in difesa nostra o a chi ci è vicino e indirettamente contribuiamo al nostro progresso civile. Quindi il pacifismo assoluto, comporterebbe una non difesa a livello assoluto che porterebbe ad un collasso civile. Conclusione il pacifismo assoluto secondo me è sbagliato.

Ma allora come considerare gli effetti di una guerra cruenta come quella che vediamo oggi tra Russia e Ucraina, i suoi effetti nefasti. I pacifisti urlano all’uso della violenza amplificato dalla fornitura di armi, si critica la NATO come organismo difensivo e seppure l’Ucraina sia stata invasa e il popolo sterminato, si arriva ad incolparla appunto perché insiste a difendersi, avrebbe dovuto arrendersi.

E qui ribadisco il concetto più importante che ho illustrato in questo mio scritto, quello di “Giustizia”, pure Socrate, desiderava vivere in una città giusta, e per lui la Giustizia come il bene erano delle scelte utili e benefiche e convenienti per noi esseri umani, mentre oggi vediamo che purtroppo la razionalità e la conoscenza tecnica troppo spesso si indirizzano verso altri lidi, non certo verso la Giustizia. Comunque la giustizia è utile come strumento di convivenza civile tra i popoli e il popolo Ucraino ha deciso, in quanto mancante dall’alto di procurarsi giustizia da sé, scegliendo di non arrendersi all’ingiustizia.

Quindi ci si difende perché dal basso non vogliamo arrenderci all’ingiustizia, forse perché a livello assoluto, non abbiamo idee che sono in realtà concetti come il pacifismo, ma idee più elevate, come il bene e il male che noi sentiamo che fanno parte di ciò che è dentro e fuori di noi, e lo sentiamo a tal punto da avere una visione trascendente del mondo tanto da cercare principi e divinità.

15-05-22 Filiberto Pignataro.

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