“Prefazione politica 1966

Eros e civiltà: con questo titolo intendevo esprimere un’idea ottimistica , eufemistica, anzi concreta, la convinzione che i risultati raggiunti dalle società industriali avanzate potessero consentire all’uomo di capovolgere il senso di marcia dell’evoluzione storica, di spezzare il nesso fatale tra produttività e distruzione, libertà e repressione – potessero, in altre parole, mettere l’uomo in condizione di apprendere la gaia scienza (gaia ciencia), l’arte cioè di utilizzare la ricchezza sociale per modellare il mondo dell’uomo secondo i suoi istinti di vita, attraverso una lotta concertata contro gli agenti di morte. Questa visione ottimistica si basava sull’ipotesi che non predominassero più i motivi che in passato hanno reso accettabile il dominio dell’uomo sull’uomo, che la penuria e la necessità del lavoro come fatica venissero ormai mantenuti in essere “artificialmente”, allo scopo di preservare il sistema di dominio. Allora avevo trascurato e minimizzato il fatto che questi motivi in via di estinzione sono stati notevolmente rinforzati (se non sostituiti da forme ancora più efficaci di controllo sociale.”.

Herbert Marcuse “Eros e civiltà” Prefazione politica 1966, p. 33, 2006 Einaudi editore.

Forse è un po’ qui che fallisce l’ingegno umano, giunto all’apice nel suo progresso scientifico non è in grado di influire davvero su una possibile trasformazione sociale, una gaia scienza mancata, come scrive Marcuse, non in grado di spezzare una catena di bisogni e di necessità che l’uomo, via via che conquista nuovi lidi nel suo eterno ricercare e scoprire, si ingigantiscono proporzionalmente, mantenendolo per così dire schiavo di un eterno Thanatos, principio di realtà o di morte (Freud), a cui sottomettersi e sacrificarsi. Se ancestralmente l’uomo ha avuto un padre, un capo, a cui sottomettersi e periodicamente compiva per così dire un parricidio per riconquistare una libertà perduta, alla fine ha sempre voluto ristastabilirne uno nuovo di padre a cui immolare la propria libertà.

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