Per Schopenhauer “Il mondo è una mia rappresentazione” [1]Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di Ada Vigliani, Milano, Arnoldo Mondadori, I Meridiani, 2003 [1. ed., 1989],p. 31., cioè tutto ciò che egli vede con il suo occhio è una sua rappresentazione, ossia esiste solo in relazione al suo vedere il mondo circostante. Per Schopenhauer essa è l’unica verità a priori, esprime ogni esperienza possibile. Tutto il mondo esiste se non che in relazione dell’oggetto con il soggetto. Questa parte l’autore la esplicherà nel suo primo libro dell’opera.

Invece nel secondo libro, l’autore definisce il secondo assioma che guida il percorso della sua filosofia, cioè “Il mondo è la mia volontà”.[2]Ivi, p. 33., se il nostro corpo è una rappresentazione per noi come tutto il mondo che ci circonda, tuttavia il meccanismo interiore che anima il suo corpo si chiama volontà, che Schopenhauer definisce anche come l’altra parte del mondo. Ossia vi è un atto volitivo che guida le azioni del corpo. L’azione del corpo è l’atto della volontà oggettivato. C’è comunque da dire che se per quanto riguarda il mondo come rappresentazione, quindi anche per il nostro corpo vale il Quadruplice principio di ragion sufficiente, titolo della tesi di laurea di Schopenhauer, ossia esso definisce il principio di casualità per tutto quello che riguarda l’aspetto fenomenico del mondo, che sì è una rappresentazione, ma viene guidato secondo i principi indagati dalla scienza e dalla matematica. Tuttavia l’atto volitivo e l’azione del corpo sono due stati differenti, essi non stanno tra loro nella relazione di causa ed effetto, la volontà è la conoscenza a priori del corpo, il corpo la conoscenza a posteriori della volontà. [3]Ivi, p. 163..

Così il nostro corpo è l’oggettità della volontà, esso è soggetto ad un’analisi eziologica, ossia il nostro corpo contiene al suo interno tutti quei fenomeni, è esso stesso un fenomeno, il cui esprimersi è fatto di cause ed effetti, ogni effetto ha una sua causa in generale, così come sono soggetti ad un’analisi eziologica pure gli animali, le piante, tutta la natura, il mondo, e anche essi sono una volontà oggettivata, un’oggettità della volontà, Noi, il mondo siamo la manifestazione della volontà. Per fare un esempio, l’autore parlando delle piante, degli animali, scrive che l’accrescimento, il processo di nutrizione, le modificazioni dell’organismo animale si compiono in virtù di cause efficienti necessarie, tuttavia tutto questo complesso di azioni, effettuate dal corpo altro non sono che il fenomeno, l’oggettità della volontà. [4]Ivi, p.173.

Comunque la volontà non si rende conoscibile in sé stessa, ma solo negli atti, essa è la forza che fa vegetare la pianta, che dà forma al cristallo, che dirige l’ago della bussola verso Nord. Per Schopenhauer, la volontà è la cosa in sé a cui si riferiva Kant.

Kant scrive nella Critica della Ragion Pura che: “…ogni nostra intuizione non è se non la rappresentazione di un fenomeno; che le cose, che noi intuiamo, non sono in se stesse quello per cui le intuiamo, né i loro rapporti sono cosiffatti come ci appariscono, e che, se sopprimessimo il nostro soggetto, o anche solo la natura subbiettiva dei sensi in generale, tutta la natura, tutti i rapporti degli oggetti, nello spazio e nel tempo, anzi lo spazio e il tempo sparirebbero, e come fenomeni non possono esistere in sé, ma soltanto in noi. Quel che ci possa essere negli oggetti in sé e separati dalla recettività dei nostri sensi ci rimane interamente ignoto.”.[5]Immanuel Kant, Critica della ragion pura, a cura di Vittorio Mathieu, Bari, Laterza, 2005, p. 68. Schopenhauer si ricollega a questo segmento della filosofia kantiana, mettendo però in discussione quella cosa in sé che costituisce un limite all’intuizione umana, sostituendola con la volontà, appunto in sé inconoscibile se non nella sua manifestazione fenomenologica, ossia quel nostro mondo che ci appare in virtù di una forza intrinseca che si chiama Volontà, che influenza il nostro mondo, il nostro corpo le nostre azioni, quelle della natura, ma non è conoscibile a partire da essa secondo le modalità eziologiche che Schopenhauer riconduce alla sua quadruplice radice di ragion sufficiente, ossia tutta quella catena di cause ed effetti che sola costituisce il mondo come ci appare nei suoi principi del tempo e dello spazio che per Kant sono le nostre facoltà a priori in base alle quali percepiamo ciò che ci appare, appunto a priori, la realtà in sé, la volontà in sé ci è preclusa, in essa non ha più senso nemmeno lo spazio e il tempo, come da noi viene valutato, misurato, metro di tutti i fenomeni, del mondo come ci appare.

Comunque per Schopenhauer la volontà non è semplicemente riferibile ad un oggetto, come era l'”in sé” per Kant, bensì per ciò che è maggiormente perfetto come l’uomo, la cui volontà viene descritta come una forza, non è una quantità incognita, ma è qualcosa di immediatamente noto, essa è l’unico concetto che non ha origine dal fenomeno. Essa sgorga dall’intimo dalla coscienza immediata.[6]Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresenteazione, op. cit., p.179 

Poi Schopenhauer, fa una precisazione definendo i gradi di oggettivazione della volontà. Egli si ricollega qui con le idee di Platone. Idee come forme eterne delle cose, gradi di oggettivazione della volontà come cosa in sé.[7]Ivi, p. 201 Le forze della natura sono il livello più basso rispetto a questi gradi di oggettivazione, per esempio la forza di gravità, la solidità, la fluidità. Esse sono manifestazioni immediate della volontà, di esse solo i singoli fenomeni, sono soggetti al principio di ragion sufficiente, ma esse di per sè no, in quanto sono condizione preliminare per ogni causa ed effetto. Per Schopenhauer è assurdo chiedersi quale sia la causa della Gravità o dell’Elettricità. Il grado più elevato di oggettità della volontà è l’uomo, la sua forma corporea. di essa solo gli animali superiori ne hanno una sfumatura, quindi essi sono a un gradino più basso. Man mano che si scende da questa scala si perde l’individualità di questa oggettità e si finisce nel carattere generale della specie. Quindi vediamo come Schopenhauer, ricolleghi la sua filosofia a quella di Platone e collochi tra la Volontà di per sè indefinibile secondo il principio di ragion sufficiente ossia secondo le facoltà a priori dell’uomo che interpreta ciò che gli sta intorno secondo le sue facoltà a priori di tempo e spazio, come asseriva Kant, ma pure secondo i principi di causa ed effetto. Tra volontà e rappresentazione vi sono i diversi gradi di oggettivazione della volontà che corrispondono alle idee di Platone.

Ora prima si parlava di rappresentazione, la quale sola può essere indagata secondo i principi di causa ed effetto nel tempo e nello spazio ed essi definiscono pure la materia, che è casualità  e divenire e il correlato soggettivo della casualità è l’intelletto. Ricordiamoci che la volontà invece non è rappresentazione, non è soggetta al principio di ragion sufficiente, è fuori dal tempo e dallo spazio, però è sempre lì che attende delle circostanze favorevoli per manifestarsi. Comunque il filosofo parla di attività cieca della volontà, a cui l’animale per esempio  come sua oggettità fa fronte attraverso rappresentazioni prive di concetti, intuitive, in quanto sprovvisto di ragione, soggetto ad istinto. Nel caso invece del grado suo superiore di oggettivazione, cioè nell’uomo, qui la sua conoscenza non è solo intuitiva, ma pure dotata di ragione, con il suo patrimonio di concetti astratti. Quindi facendo ordine possiamo asserire che in primis abbiamo l’infallibilità primitiva dell’agire incosciente della volontà, poi vi è la conoscenza intuitiva, per esempio nel cane, che porta alla soppressione di quella infallibilità, invece con la ragione quell’infallibilità è quasi del tutto perduta. Comunque la conoscenza in generale razionale o intuitiva scaturisce dalla volontà e ne costituisce i gradi più elevati, essa si conserva quasi del tutto subordinata alla volontà, comunque poi si vede che essa, la conoscenza, in taluni uomini si affranca dalla volontà, e può sussistere in sè, tramite essa nasce l’arte, se essa reagisce alla volontà può addirittura sopprimerla. Schopenhauer definisce questo ultimo concetto come rassegnazione, scopo finale, l’essenza di ogni virtù e santità, come liberazione dal mondo.[8]Ivi, p. 232.

Tornando alle idee, diciamo che esse sono i differenti gradi di oggettivazione della volontà, mentre la volontà è unica, esse sono atti isolati della volontà, nei quali si esprime la sua essenza. Gli individui, le cose, sono manifestazione di tali idee nel tempo e nello spazio. Nella diversità delle parti, per esempio le parti che compongono il corpo umano, esse seppur differenti evidenziano tra loro un’organicità che manifesta l’unicità dell’idea, in quanto è un atto unico della volontà.

Nel terzo libro, l’autore affronta l’oggetto dell’arte, in una rappresentazione ora indipendente dal principio di ragion sufficiente, ma con riferimento all’idea platonica.[9]Ivi, p. 249 Quindi, come dicevamo prima , l’idea permane invariabilmente una e identica, mentre gli individui in cui l’idea si manifesta, sono innumerevoli. Per esempio, l’idea di uomo, si manifesta nella molteplicità di individui che popolano il nostro mondo.

Ma ora una domanda sorge spontanea, è possibile il passaggio dalla conoscenza comune delle cose particolari a quella delle idee? Secondo l’autore vi è questa possibilità, ma è di natura eccezionale in quanto la conoscenza si deve, come già scritto sopra, affrancare dalla volontà. Da individuale, il soggetto conoscente diviene puro, libero dalla volontà, non va più incontro alle regole della causa ed effetto, ma contempla profondamente l’oggetto (che esprime l’idea), al di fuori di ogni relazione con gli altri oggetti. Vi è una contemplazione tranquilla, tramite l’intuito, non la ragione. Schopenhauer in questo libro ha sempre dato grande importanza all’intuito più che alla ragione. Nel primo libro ha fatto molti esempi, per esempio il teorema di Euclide, dove dimostra che l’intuizione, può giungere prima della ragione, logica e argomentativa la seconda, geniale e immediata la prima. Tornando all’oggetto precedente e all’idea che esprime, in questa contemplazione la volontà non sussiste più, se non come soggetto puro specchio dell’oggetto, l’oggetto sembra esistere da solo senza nessuno che lo percepisca. Quindi ciò che viene conosciuto non è più l’oggetto come tale, ma l’idea di quell’oggetto. Qui il soggetto diviene soggetto conoscente puro, di là dal dolore, dalla volontà e dal tempo.[10]Ivi, p.264 Per fare un esempio, quando osserviamo la natura, entriamo, sprofondiamo in essa in quanto, noi divenuti puri soggetti di conoscenza ci sentiamo condizione di questa esistenza oggettiva, divenuta dipendente dalla nostra, essa non è più un accidente, ma parte di noi. Non ci sentiamo più esseri transitori, ma penetrati dalla stessa natura.

Ora Schopenhauer, si domanda quale sia la conoscenza con la quale si possa davvero contemplare l’essenza del mondo, nel suo essere al di fuori di ogni relazione, ciò che non è soggetto a cambiamenti, cioè la vera sostanza di ogni fenomeno, identica in ogni tempo, una conoscenza che sa contemplare le idee, come oggettità immediata della volontà.[11]Ivi, p. 272. L’autore trova nell’arte la risposta perfetta a tale domanda, è l’arte, l’opera del genio, questo tipo speciale di conoscenza. L’arte come pura contemplazione riproduce le idee eterne. Può essere la Pittura, la Scultura, la Musica, la Poesia. Mentre la scenza non ha mai un fine ultimo, in quanto è sempre alla perenne ricerca di risposte oltre un orizzonte che si staglia perenne davanti a lei; l’arte questo fine lo trova ogni dove. L’arte attinge alle cose continuamente fluenti nel mondo, prende una piccola particella, la isola da tutto, si pone in contemplazione di fronte ad essa, e diviene quella piccola parte rappresentante del tutto. Fermando il tempo, l’arte giunge a contemplare l’idea di quell’oggetto singolo, al di fuori di ogni principio di ragion sufficiente. L’arte viene definita come pacifico raggio di sole, mentre la scienza è simile all’uragano violento che passa senza che se ne veda il principio e la fine.[12]Ivi, p. 273 Per il filosofo l’artista tramite il suo genio e la fantasia, riesce ad andare al di là della realtà meramente fenomenica per coglierne l’idea, quest’idea poi viene trasmessa attraverso l’opera d’arte. Comunque la fantasia è necessaria, ma non sufficiente in quanto chiunque non datato di genio, che non è un artista, può comunque fantasticare, costruire castelli in aria, non creare vere opere d’arte, ma restare nell’ordinario. Se l’intuito è proprio del genio artistico, la ragione, più propriamente logica è scientifica. Schopenhauer pone come esempio la matematica in cui è meno ferrato l’artista, piuttosto della scienziato. Difficile insomma per l’autore essere scienziati e artisti contemporaneamente. Curioso è anche accostare la superiorità intellettuale alla follia, nel folle può convivere la genialità. Una follia che però è anche una via d’uscita ad un dolore insopportabile.

Ritornando all’arte, diciamo che l’artista riesce a contemplare in maniera oggettivamente pura l’oggetto della sua rappresentazione artistica perché scevra da volontà, rinunziando a tutte quelle dinamiche fenomenologiche che riconducono la conoscenza ad interpretare per esempio un paesaggio solo tramite i principi di causa ed effetto tipici del mondo come rappresentazione. In questo senso coglie appunto l’idea dell’oggetto che intende rappresentare. Il volere per Schopenhauer proviene da un bisogno, da una privazione, una sofferenza. Noi soddisfiamo i nostri bisogni appunto spinti dalla volontà, ma per uno soddisfatto, ne restano cento ancora da soddisfare, ogni desiderio soddisfatto lascia il posto ad un nuovo desiderio. Concependo le cose invece non sottomessi e vincolati dalla volontà, senza interesse e soggettività, ma in modo oggettivamente puro, allora subentrerà la calma e la felicità, osservare un sole al tramonto diventerebbe la stessa cosa sia che fossimo in carcere, che sulla cima di un monte, in quanto saremmo riusciti a liberarci di tutta quella soggettività che sola fa la differenza. L’individuo conoscente si eleva al grado di soggetto puro della coscienza emancipata dalla volontà, dal nostro stato d’animo.[13]Ivi, p. 289 Un altro esempio è il ricordo di avvenimenti lieti passati, o per lo meno che oggi giudichiamo lieti, noi rievochiamo solo gli oggetti, ma non la nostra volontà soggettiva, che porta con sé le sue, le nostre sofferenze. Le sofferenze cadono nell’oblio, resta la pura oggettività del ricordo. Il ricordo risulta sottratto da quelle pene che invece ci turbano in questo momento presente, a meno che non operassimo quel salto di qualità nel intravvedere l’idea dietro l’oggetto, dietro le nostre situazioni di vita presente, di cui parlavamo sopra, ossia vedere le cose sotto un’altra prospettiva scevra da volontà.

References

References
1 Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di Ada Vigliani, Milano, Arnoldo Mondadori, I Meridiani, 2003 [1. ed., 1989],p. 31.
2 Ivi, p. 33.
3 Ivi, p. 163.
4 Ivi, p.173.
5 Immanuel Kant, Critica della ragion pura, a cura di Vittorio Mathieu, Bari, Laterza, 2005, p. 68.
6 Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresenteazione, op. cit., p.179 
7 Ivi, p. 201
8 Ivi, p. 232.
9 Ivi, p. 249
10 Ivi, p.264
11 Ivi, p. 272.
12 Ivi, p. 273
13 Ivi, p. 289

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